Il documento sulle Linee di Mandato 2011-2016 dell’Amministrazione provinciale è innanzitutto scritto bene, e vorrei fare i complimenti a chi l’ha scritto, perché non è facile trovare documenti politici scritti bene, poi è anche completo, tocca tutti gli aspetti dell’azione amministrativa della Provincia.
E’ un atto politico e anche se arriva con un po’ di ritardo sappiamo a quali ragioni ciò sia stato dovuto, per cui non voglio ritornarci. Dicevo che è un atto politico, l’atto politico-amministrativo fondamentale del nuovo esecutivo e della maggioranza che lo sostiene. Una sorta di grundprogramm, direbbero i tedeschi, che rappresenta l’identità e la cifra dello schieramento che ha vinto le elezioni e che è alternativo alla destra. Per cui ho modo di ritenere che, essendo gli schieramenti che si sono confrontati alle elezioni tra loro alternativi, il programma della minoranza sia diverso.
Non capisco l’accanimento che l’opposizione esplicita ogni volta contro la “politica“. Le scelte di un governo non sono mai tecniche, sono sempre politiche. Non esiste la tecnica al governo. Anche l’opposizione fa giustamente politica. E poi non si può prima attaccare la prosopopea che a vostro dire sarebbe contenuta in questo documento e poi ricercare pratiche consociative, pensando che il documento sia emendabile. Non so se all’opposizione stia bene essere politicamente subalterna alla maggioranza. Io penso che voi non lo vogliate, perché ho modo di ritenere che abbiate le vostre proposte, la vostra identità e un programma alternativo al nostro, che avreste presentato nel caso aveste vinto, così come fu fatto in passato.
Comunque siete liberi di fare ciò che volete.
Io penso che il tema di fondo con cui ci dobbiamo misurare è come cambia il ruolo del pubblico nella crisi. Sta cambiando un’era geologica, siamo dentro una grande glaciazione, e la questione riguarda in primo luogo come le istituzioni democratiche si riorganizzano per affrontare la crisi, sopravvivere ad essa, continuando ad essere utile punto di riferimento per i cittadini.
Questo vuol dire immaginare come cambiano le politiche pubbliche, ma anche quale assetto istituzionale più snello e funzionale ci diamo, affinchè sia sostenibile e utile alle comunità amministrate. Dentro questa discussione sta anche il ruolo nuovo che deve assolvere la Provincia.
Siccome, tra l’altro, noi saremo una delle poche amministrazioni provinciali che scadranno più in là nel tempo, ossia nel 2016, abbiamo l’imperativo categorico di dimostrare che questo ente è utile. Questa mi pare anche l’ambizione del documento che andiamo ad approvare, mentre le singole proposte non potranno che trovare una loro specificazione negli atti programmatici di settore e nei piani operativi annuali. Non si tratta, d’altra parte, di sostenere che la Provincia così com’è va difesa, ma che il livello amministrativo di area vasta è essenziale e va mantenuto anche nell’ottica di una riorganizzazione necessaria della nostra democrazia.
Questa missione non si assolve soltanto occupandoci della quotidianità, ma rimettendo al centro la programmazione, come si fa opportunamente del documento, sapendo che è cambiata e cambierà la percezione che i cittadini avranno nei nostri confronti e che, sulla base dei cambiamenti legislativi in itinere, dovremo necessariamente adeguare il percorso alla complessità insita nella riscrittura delle funzioni amministrative.
Si pensa alla Provincia come ente di secondo grado. Io penso che questo sia un errore, nato da una campagna demagogica di cui ha pagato il prezzo l’anello più debole della filiera istituzionale, perché così facendo si contraddice la riforma del titolo V della Costituzione e si destruttura un meccanismo, quello dell’elezione diretta, che nel caso dei Comuni, ma ancor più delle Province, ha garantito stabilità ed efficacia. Il rischio, poi, è che lo spacchettamento delle funzioni produrrà costi aggiuntivi, a proposito di costi della politica, ovvero aumento della burocrazia, farraginosità, più che economie, com’è accaduto al processo di decentramento praticato negli ultimi vent’anni.
Riportare tutto ad un centro minimo di comando, nazionale o regionale, sarà un processo che c’impegnerà per altri vent’anni, producendo disfunzionalità e diseconomie, prima che si entri a regime. Si sarebbero potute fare scelte più efficaci e sostenibili, producendo fin da subito reali risparmi, come ho cercato di dire in più occasioni, ma purtroppo questa è un’epoca in cui la demagogia antipolitica e chi la interpreta hanno la meglio. Poi sarà il tempo a dirci se le scelte fatte, saranno anche state buone.
Sta di fatto che noi siamo chiamati a riscrivere le funzioni amministrative della Provincia in termini d’indirizzo e coordinamento, ma mi pare che si stia facendo strada l’idea che anche alcune funzioni essenziali di gestione non possano che stare in capo all’organismo di area vasta. Dobbiamo, quindi, stare dentro la partita della riforma istituzionale, disponibili a ragionare e a tradurre la migliore dislocazione delle funzioni, ma essere fermi nel rivendicare l’utilità e l’imprescindibilità del livello di governo intermedio del territorio.
La Provincia, innanzitutto, come costruttore di relazioni territoriali, attore d’indirizzo e coordinamento di area vasta, che solo noi possiamo articolare, mettendo intorno ad un tavolo i soggetti, istituzionali e non, i corpi sociali intermedi, le autonomie funzionali, per ragionare con loro, sviluppare progettualità, accompagnare i percorsi d’integrazione, anche in settori in cui non si ha specifica competenza, come si è iniziato a fare sulla riorganizzazione condivisa del sistema sanitario dell’area vasta maceratese. Sapendo che non decidiamo noi, ma è utile che si condividano impostazioni con la Regione e che si possano definire idee più ambiziose che traguardano la gestione del quotidiano.
Quindi costruire relazioni con i soggetti sociali, imprenditoriali, con le Università, la Camera di Commercio, le Fondazioni bancarie, i Comuni; verso questi ultimi, ad esempio, c’è un lavoro urgente e significativo da fare per accompagnarne la riorganizzazione e sostenerne l’attività.
Bene il discorso che si sta portando avanti con le due Università, nell’ambito dell’accordo di programma, ad esempio mettendo in rete gli uffici Europa (di Provincia e Università) per cominciare a discutere sulla nuova programmazione europea 2014-2020 e per coglierne le opportunità. E’ un passo importante, come pure quello siglato in questi giorni con la Camera di Commercio e l’Università di Camerino sull’innovazione, la ricerca e il trasferimento tecnologico.
La Provincia deve essere al fianco dei Comuni nel supportare il processo di associazionismo delle funzioni comunali, nell’azione di riordino amministrativo e degli enti strumentali, nel sostenere tanti Comuni che si trovano in grande difficoltà, non riescono a chiudere i bilanci, alcuni dei quali sono addirittura considerati “appestati” come quelli sotto i 1000 abitanti.
Se pensiamo ad una Provincia che perderà il ruolo che finora ha avuto, perché si assottiglieranno le funzioni di sua competenza, dobbiamo prevedere che il livello regionale, seppur anch’esso dimagrito, assumerà una maggiore importanza e dobbiamo lavorare perché si superi la polverizzazione comunale, dando fiato alle Unioni dei Comuni, anche nell’ottica di determinare una rappresentanza più equilibrata nell’ambito della nuova Provincia. La Provincia ha da sempre un suo tratto specifico nell’essere istituzione del riequilibrio territoriale, che lavora cioè per ridurre gli squilibri e le diseguaglianze tra territori, proprio esercitando la sua funzione di coordinamento.
Uno dei rischi della riforma abbozzata è che, invece, essa diventerà la sede dei Comuni maggiori, della competizione e dello scontro tra loro, mentre tradizionalmente i Comuni più forti si sono sempre difesi da sé e non hanno avuto gran che bisogno della Provincia.
Quello della crescita equilibrata e collettiva della comunità provinciale, che supera gli squilibri tra le aree interne e la costa, tra le vallate, deve restare un compito strategico del livello amministrativo intermedio di area vasta. Questo lavoro di compensazione, di armonizzazione è fondamentale e va aiutato anche attraverso la creazione delle Unioni dei Comuni, per evitare che siano i quattro-cinque Comuni più grandi quelli che nel nuovo assetto decidono tutto. Questo sarebbe profondamente sbagliato.
L’altro compito strategico di mandato dovrà essere la riorganizzazione dei servizi a rete: idrico, rifiuti, energia, trasporto pubblico locale. Ma anche servizi alla persona, la rete scolastica e quella dell’assistenza agli anziani. Gestore unico del servizio idrico, modernizzazione del settore dei rifiuti, su cui è bene che smettiamo di raccontarci la storia dell’eccellenza, del fatto che siamo all’avanguardia, etc, etc. Razionalizzazione nel trasporto pubblico. Ci sono grandi scelte da fare e decisi passi in avanti da compiere, senza cullarci sugli allori, ma guardando all’apertura del mercato, all’ammodernamento degli impianti, alla qualità del servizio, al rapporto costi/benefici. C’è il tema della viabilità, per la cui manutenzione non ci sono più risorse. Ma anche sulle grandi infrastrutture abbiano nodi da sciogliere se non vogliamo creare nuove incompiute; penso alla Pedemontana che dovrebbe completare il tracciato basilare del progetto Quadrilatero e per la quale mancano 200 mln. Il Progetto è al Cipe e sarà finanziato il primo tratto, ma poi? Deve essere una priorità da affrontare.
C’è la questione di che fare della Civitanova-Albacina, atteso che il progetto di metropolitana di superficie forse va ridimensionato perché ha costi difficilmente abbordabili, anche se la logica da seguire è quella, per fare ciò che è possibile e per integrare meglio gomma e ferro, anche attraverso un’unica società di gestione.
L’attività programmatoria sarà intensa, come ha richiamato il Presidente; ci sono piani e programmi in scadenza che richiedono di essere aggiornati (Ptc, commercio, cave, trasporto pubblico, rifiuti), così come ce ne sono nuovi da fare (energia). Per il resto le poche risorse disponibili vanno concentrate su pochi Progetti speciali. Fin d’ora va indirizzata l’attività sulle funzioni che permarranno in capo all’istituzione e su alcuni progetti speciali. Tra questi penso alla cultura, come fattore d’innovazione traversale ai vari settori del turismo, dell’agricoltura (tramite il Gal), delle produzioni manifatturiere, anche attraverso la logica dei distretti culturali evoluti; penso allo sviluppo economico e alla necessità che esso resti sotto la lente d’ingrandimento della Provincia per quel che riguarda la “grande migrazione” dal manifatturiero che la crisi sta nei fatti producendo. Per questo è importante continuare a parlare di accesso al credito, del ruolo delle medie imprese, delle reti d’impresa, d’innovazione e ricerca; allo stesso modo nel turismo occorre mettere al centro informazione, accoglienza e residenzialità diffusa.
Mi pare che nel documento sulle linee programmatiche di mandato di questa amministrazione le cose che ho cercato di sottolineare, dando un ordine minimo al nostro impegno in una fase di profondi cambiamenti, ci siano e mi pare che da oggi non potranno mancare il necessario slancio per perseguirle e raggiungerle, dimostrando che un livello intermedio di governo è utile non a noi, ma ai cittadini.