(Camerino 21 febbraio 2012)
Nell’avviare i lavori di questo pomeriggio vogliamo gettare uno sguardo ai disagi, le difficoltà e i danni che l’eccezionale nevicata ha prodotto nella nostra regione e in particolare qui nel camerte, come pure nell’urbinate, dove si è ancora alle prese con il ritorno alla normalità. La cosa ha a che fare con la discussione odierna, in quanto anche i beni culturali hanno subito lesioni e la stima dei danni non è lieve. La Regione Marche è già in campo per cercare di sostenere i Comuni, le imprese e i privati, la presenza di tanti esponenti della Giunta regionale qui oggi credo sia un segnale forte di vicinanza al territorio, ma un segnale necessario e tempestivo occorre che venga dal Governo, che -dopo l’abrogazione della “tassa sulla disgrazia” da parte della Corte Costituzionale- deve dare una risposta alle Marche anche per quanto riguarda l’alluvione del marzo 2011.
Per entrare invece nel tema “le politiche culturali come fattore di nuova crescita” dobbiamo partire dalla crisi che attraversa l’Europa, su cui abbondano le analisi, ma credo sia venuto il tempo di concentrare l’attenzione su come uscirne.
La crisi dell’Europa e degli Stati Uniti, che per qualcuno è crisi dell’Occidente, rappresenta una grande cesura storica, di cui non riusciamo ancora a decifrare fino in fondo le implicazioni, ma possiamo dire con ogni probabilità che essa è una crisi culturale, economica e di sovranità.
La lettera dei 12 Paesi europei, tra cui l’Italia e l’Inghilterra, sulla necessità di puntare sulla crescita per salvare l’eurozona è un chiaro messaggio alla politica finora perseguita da Francia e Germania e insieme l’ammissione che “l’austerità fiscale ed espansiva”, se non accompagnata da politiche per la crescita, non ci condurrà fuori dal guado, come dimostra il caso della Grecia.
Prima c’era stato il documento congiunto Spd e Grunen tedeschi che al 12° punto esplicita con chiarezza che “la stabilità finanziaria e di bilancio è importante, ma essa va coniugata con una politica di sviluppo capace di ridurre la disoccupazione in Europa” che colpisce in particolare i giovani.
Per l’Italia, divenuta il punto di snodo della crisi dell’eurozona, la questione europea non si pone più semplicemente come un vincolo esterno, cui tendenzialmente adeguarci, ma rappresenta una questione co-essenziale, cui siamo legati a doppio filo. Passa, cioè, attraverso la riuscita della missione del Governo Monti la salvezza non solo nostra, ma dell’Europa. Non mi pare poco.
Se interesse nazionale e integrazione europea sono per noi due aspetti della stessa politica, è sul secondo elemento, quello dell’integrazione, che occorre, però, fare un salto di qualità nel mentre ciascuno Stato “fa i suoi compiti a casa”. Ciò significa rilancio del metodo comunitario, rispetto a quello intergovernativo finora egemone, riforma delle istituzioni politiche dell’Unione e contestuale rafforzamento della governance economica con lo sviluppo del mercato unico, l’emissione degli Eurobond, la tassazione delle transazioni finanziarie a breve e una disciplina di bilancio che scorpori la spesa per investimenti, la quale va rilanciata e ottimizzata.
Se, quindi, il tema della crescita è centrale per uscire dalla crisi, possono le politiche culturali essere un pezzo di una strategia più generale di cui l’Europa si dota e dalla quale discendono politiche nazionali e regionali coerenti?
Questo è il tema. Qui intervengono tre aspetti: il primo è l’importanza del sapere, della conoscenza, della formazione, della ricerca e dell’innovazione, insomma l’investimento sul capitale umano come ingrediente fondamentale dell’innalzamento delle capacità competitive dei sistemi economici e della qualità del lavoro. Era questo il cuore della strategia di Lisbona.
Il secondo aspetto è la necessità di promuovere una crescita nuova, cioè -come dice la prospettiva di Europa 2020- intelligente, inclusiva e sostenibile, ma anche capace di ridurre le diseguaglianze, redistribuire la ricchezza, costruire e consolidare reti di solidarietà. Questa aggiunta riferita alla lotta alle diseguaglianze e alla solidarietà non è rituale, ma la novità che dobbiamo saper raccogliere se vogliamo trarre un insegnamento utile dalla crisi. Giustizia è una parola che bussa prepotentemente dentro ciascuno di noi, solo che vogliamo ascoltarla.
Giustizia, uguaglianza e solidarietà tra ceti, redditi, Paesi, aree territoriali dell’Europa e non solo. Lo diciamo dalle Marche, regione da sempre aperta verso l’Est e i Balcani e sede del Segretariato della Macroregione Adriatico-Ionica.
Il terzo aspetto, infine, è la necessità di nuove politiche pubbliche e contestualmente di un nuovo rapporto pubblico-privato. Ci viene in soccorso su questo terreno l’importante manifesto “Per una costituente della cultura”, pubblicato domenica scorsa da Il Sole 24 Ore con il titolo “Niente cultura, niente sviluppo”, del quale vogliamo riportare due frasi. La prima: “La crisi dei mercati e la recessione in corso, se da un lato ci impartiscono una dura lezione sul rapporto tra speculazione finanziaria ed economia reale, dall’altro devono indurci a ripensare radicalmente il nostro modello di sviluppo”. E’ vero la crisi sta cambiando modi di produrre, di consumare, costumi e comportamenti. E l’altra: “Si è osservato in questi anni che laddove il pubblico si ritira anche il privato diminuisce in incisività, mentre politiche pubbliche assennate hanno un forte potere motivazionale e spingono anche i privati a partecipare alla gestione della cosa pubblica”. Mi sembra un importante passo in avanti nell’elaborazione di logiche collaborative, complementari e sussidiarie tra pubblico e privato.
D’altra parte, l’intervento pubblico non può essere demonizzato quando si parla di profitti e invocato quando si tratta di salvare le banche.
Regolazione, programmazione, sostegno selettivo e cofinanziamento, possono essere i termini di un nuovo intervento pubblico che supporti il disegno di una ricostruzione nazionale, alla quale proprio il documento citato inaspettatamente ci richiama come al compito precipuo dell’oggi e del prossimo futuro.
A partire da questa impostazione l’iniziativa di oggi vuol ricercare una declinazione ulteriore lungo tre direzioni:
a) la trasversalità: suffragati da quanto ha scritto Il Sole 24 Ore, che ha invitato l’intero Governo e tutti i Ministeri a “porre la reale funzione di sviluppo della cultura al centro delle scelte”, teniamo a precisare che l’idea di fare della cultura il fertilizzante di settori diversi, ma in realtà contigui, come possono essere il turismo, l’agricoltura, le produzioni manifatturiere, l’internazionalizzazione, è una sfida che la Regione Marche ha raccolto da almeno due anni, con l’obiettivo proprio di promuovere un nuovo modello di sviluppo. Anche per questo sono state aumentate le risorse destinate alla cultura, nonostante il taglio dei trasferimenti nazionali. Ora, proprio a partire dall’occasione odierna e dalla presenza qui degli assessori delegati, è necessario fare in modo che il coordinamento tra le politiche di sviluppo regionali sia più forte e strutturato, se comprendiamo quanto una crescita equilibrata e qualitativa abbiano ancor più a che fare con l’innovazione di cui stiamo parlando. Ciò dovrebbe avere una ricaduta concreta in eventuali bandi o misure che vengono adottate. Lo si sta facendo con l’Industria; da ultimo lo si è fatto nel Protocollo d’intesa con i Gal insieme al Turismo.
b) l’interregionalità: la collaborazione con le Regioni limitrofe a partire dall’Umbria, alla quale ci lega un retroterra storico, culturale, economico e sociale largamente omogeneo. L’esperienza del terremoto del 1997, della gestione dell’emergenza e del modello di ricostruzione esemplare che insieme abbiamo portato avanti e che dobbiamo sempre ricordare e rivendicare, deve vederci ancora impegnati nel mettere in campo progetti di sviluppo per continuare una traiettoria a quei tempi avviata e non compiuta, ma anche per rispondere alla crisi in atto (es. Antonio Merloni, Faber, etc.). Penso a come, dopo la fase della ricostruzione e a quella in atto dell’infrastrutturazione viaria (con il progetto “Quadrilatero”), che determinerà nuove condizioni di accessibilità e di potenziale attrattività per le due regioni, sia necessario concentrare gli sforzi e le iniziative per promuovere un nuovo sviluppo. In questo senso è importante la progettualità che si sta avviando nella logica del Distretto Culturale Evoluto (DCE) tra il fabrianese e l’eugubino, inclusa la candidatura di Fabriano nel network delle “città creative” dell’Unesco, ma è ormai necessario che anche in ambito maceratese si avvii quanto prima qualcosa di analogo, coinvolgendo il Capoluogo e l’entroterra, le città di Camerino e San Severino Marche, il Parco nazionale dei Monti Sibillini e guardando oltre il confine regionale, il cui superamento dal 2013 diventerà rapidissimo verso Foligno per andare verso Terni-Roma o verso Perugia-Firenze. Ciò renderà anche il mare Adriatico più vicino, con una potenziale ricaduta positiva sul turismo balneare. Rapporto Marche-Umbria, quindi, anche come primo passo per allargare lo sguardo al Centro Italia, al ruolo che questa area geografica del Paese può svolgere come cerniera di una rinnovata unità nazionale.
c) la territorialità: la possibilità di iscrivere le iniziative dei territori dentro le politiche europee e la nuova programmazione 2014-2020, muovendosi fin d’ora con largo anticipo per ideare progetti praticabili, coinvolgere partners e competenze, attrezzarsi ai meccanismi della concorrenza e della condizionalità, agire con tempestività per cogliere le opportunità delle call dei vari programmi europei. Le sollecitazioni che più volte il Prof. Sacco ci ha fatto sulle opportunità che fanno capo alla DG Cultura, ma soprattutto alla DG Impresa e ai vari Programmi comunitari che ne discendono, vanno rese operative avviando quella rassegna ricognitiva delle attività nei settori del fashion, del design, del patrimonio digitalizzato, del food intelligente, del welfare culturale, della rigenerazione creativa dei centri storici. Sono tutti filoni sui quali le Marche, ma anche anche regioni a noi vicine hanno molto da dire, puntando su una nuova leva imprenditoriale, sulla possibilità di far nascere imprese culturali-creative e di attrarre nuovi investimenti.
In questo quadro fondamentale è il contributo dell’Università, del sistema universitario marchigiano, delle nostre due università di Camerino e Macerata con il loro percorso d’integrazione, ma anche della loro collaborazione con altri atenei (es. Perugia-Camerino su Start Cup). Di fronte c’è la sfida di Horizon 2020, il Programma unico per la ricerca e l’innovazione dell’Unione europea che ha stanziato all’uopo 80 mld di euro per il periodo 2014-2020 sui temi di frontiera dello sviluppo dei prossimi anni, dentro cui, oltre alle risorse per le PME, vi sono quelle per realizzare sei nuove Comunità della conoscenza e dell’innovazione (KICs), 600 start-up, formare 25.000 studenti e 10.000 dottorandi. Tra i temi quello dell’invecchiamento attivo e della qualità della vita, su cui le Marche hanno progetti già in campo attraverso la costituenda Agenzia nazionale per la Terza Età, la domotica e la proposta di “polo tecnologico” che anche recentemente il Presidente Spacca è tornato a sollecitare al Ministro Passera.
Sguardo europeo e internazionale, radicamento sul territorio, per dare concretezza a quel che s’impara e si elabora e per accompagnare l’innovazione del tessuto produttivo. Questo è quello che ci aspettiamo dall’Università, in particolare quella di Camerino che ci ospita e che si è distinta in questi anni per iniziative molto interessanti. Voglio citare nel campo più prettamente culturale la Biennale del Design, il ritorno di Video Art Electronics, l’attività dell’ILO e dei suoi spin-off universitari, le idee di valorizzazione museale sul versante scientifico (Science Center).
La sfida è tuttavia complessa. Le Marche ha tassi di specializzazione produttiva e di occupazione nel settore manifatturiero, quello che sta pagando più duramente la crisi, ben oltre la media nazionale; ha un basso investimento in ricerca e innovazione, al di sotto della media nazionale, e una seria difficoltà d’inserimento di manodopera giovane, altamente scolarizzata, nel mondo del lavoro, in particolare a causa di una struttura imprenditoriale di piccolissima dimensione. Reggeremo? Basterà la vocazione all’export delle nostre medie imprese? Innovare è essenziale, ma diversificare lo è parimenti, forse di più. In che direzione? La cultura, nell’accezione ampia e con le implicazioni che abbiamo cercato di delineare, può rappresentare un terreno prospettico d’azione.
Diciamo tutto questo in un territorio, penso al Sindaco di Camerino, ma guardo anche quello di Fabriano, molto diverso e insieme molto simile: da un lato, il camerte, che nella carta regionale dei distretti industriali è l’unico territorio omogeneo a livello regionale che non ricade in un distretto produttivo (vedi slide Alessandrini / riferimento ai sec. XIV-XV), dall’altro il fabrianese che è il distretto a più alta specializzazione produttiva, a più alto tasso di addetti all’industria e con la concentrazione più alta di grande industria (meccanica). Due contesti molto diversi tra loro, con problemi molto diversi, eppure entrambi con il rischio di essere colpiti in modo fatale dalla crisi. Forse ragionare su qualche possibile complementarietà non sarebbe male lungo la sinclinare camertina-fabrianese. A partire da quella infrastruttura che dovrebbe avvicinare le due città, rompendo la barriera naturale e storica delle vallate, che è la Pedemontana.
Ma non voglio divagare. Esiste il tema di come possiamo rendere fruibile l’immenso patrimonio culturale, storico, artistico e architettonico, recuperato con il sisma e la cui gestione in molti casi resta un problema. Penso alla ricchezza, da questo punto di vista, della Diocesi di Camerino-San Severino Marche. Ma penso anche alle fortificazioni e ai borghi storici dell’antico ducato varanesco, di cui il tempo sta distruggendo importanti tracce e che invece potrebbero costituire l’asset privilegiato, insieme all’offerta ambientale ed enogastronomica, di un turismo culturale, sportivo, scolastico e naturalistico.
L’idea lanciata da Federculture di un Fondo rotativo sul modello di quello della Cassa Depositi e Prestiti che finanzi la progettazione per il recupero, la rifunzionalizzazione e la gestione sostenibile potrebbe costituire un valido supporto, se recepito dal Governo, per aiutare la fruibilità di beni che andrebbero, però, visti in un’ottica unitaria e coordinata.
Consentitemi un riferimento (demodé) all’esperienza dei Patti territoriali, che nello specifico di questa provincia, abbiamo avuto modo di conoscere all’indomani del sisma del 1997, ormai quasi 15 anni fa. Sappiamo tutti gli eccessi burocratici e le farraginosità dei meccanismi che presiedevano alla realizzazione dei progetti della cosiddetta programmazione negoziata e nessuno vuol riesumarli. Ma l’idea di una mobilitazione delle energie locali, aperte ai necessari apporti esterni, ma motivate da un forte spirito di coesione e dalla condivisione di un obiettivo strategico di sviluppo che si traduce in interventi integrati, credo che andrebbe rivalutata. Con maggiori automatismi e semplificazioni, un diverso rapporto pubblico-privato, con la logica della corresponsabilità. Può essere l’Appennino il soggetto di una iniziativa che abbia questi caratteri? Non più Parco d’Europa, ma crocevia tra Nord e Sud, tra Est ed Ovest, dove si misura una diversa qualità del vivere strettamente connessa alla valorizzazione dei beni comuni? Può essere la strutturazione dei percorsi delle vie storiche e religiose, penso alla direttrice Roma-Assisi-Loreto, alle vie francescana e lauretana? Può essere l’idea di un “distretto della conoscenza”, come lo ha chiamato il Rettore Corradini, sul modello dei metadistretti del Veneto, che può prendere spunto da progettualità specifiche, come quella della domotica o del “polo tecnologico” sopra menzionati, per ampliarsi in termini inclusivi proprio a partire dal fatto che, ad esempio, se parliamo d’invecchiamento è qui nel camerte che abbiamo il più alto tasso di popolazione anziana della regione, con picchi record di longevità, con una domanda impellente di servizi alla persona e una necessità di profonda riorganizzazione dell’offerta? Può essere la sfida del restauro ambientale e paesaggistico che preveda l’impiego sui manufatti delle energie verdi e delle tecniche della bioedilizia, liberando i nostri campi e i crinali delle colline dalle estensioni di pannelli fotovoltaici? Può essere la circuitazione di manifestazioni, rassegne musicali ed artistiche, festival come Musicultura, Macerata Opera, Poiesis, Popsophia o Montelago Celtic Night, insieme all’incentivazione di location per produzioni cinematografiche? Può essere.
Sono soltanto spunti per tentare di avviare concretamente progetti che uniscano cultura e sviluppo, lavorando insieme, per fare della cultura fattore di nuova crescita, per uscire dalla crisi dei territori, per ricostruire l’Italia, per fare un’altra Europa, dove viga un patto tra lo sviluppo, la persona e le comunità, capace di rifomulare il legame tra economia e democrazia. Vogliamo provarci?